Quando nei ristoranti piacentini
non si mangiavano né tortelli né pisarei
Pubblico numerosissimo al PalabancaEventi per la presentazione del libro di Laura Bricchi A regime: storia dellalimentazione a Piacenza tra le guerre mondiali
Pubblico straripante al PalabancaEventi della Banca di Piacenza (Sala Panini e Sala Verdi e Sala Casaroli videocollegate) per la presentazione del volume A regime: storia dellalimentazione a Piacenza tra le guerre mondiali (Edizioni Tip.Le.Co., Prefazione di Michele Mauro, cuoco gentleman), illustrato dallautrice Laura Bricchi in dialogo con il giornalista Giuseppe Romagnoli.
Nipote del compianto critico darte Ferdinando Arisi, la neo scrittrice - alla sua prima fatica editoriale - è giornalista professionista (dieci anni come redattrice responsabile delle pagine culturali al quotidiano La Cronaca di Piacenza) e ora insegnante. Una laurea in Scienze della comunicazione allo Iulm e una seconda in Storia contemporanea alla Statale di Milano. Ed è proprio dallattività di ricerca per questultima tesi di laurea che è nato il libro che - come ha spiegato il prof. Romagnoli - tratta in particolare della storia dellalimentazione in periodo fascista «ed è attualissimo, perché parlando del periodo autarchico affronta il tema della valorizzazione dei prodotti locali».
Stimolata dalle domande del coordinatore della serata, la prof. Bricchi si è soffermata sui principali argomenti presenti nellopera, a partire dal futurismo (è stato ricordato che proprio a Piacenza, allAlbergo Italia, si tenne una cena alla presenza di Tommaso Marinetti, organizzata da Bot). «Marinetti - ha spiegato lautrice - ha portato gli italiani ad interessarsi di alimentazione e lo ha fatto con la provocazione: proponendo labolizione della pastasciutta o il mangiare senza posate. Le tematiche che portavano avanti erano funzionali al regime; pensiamo allautarchia e allabolizione dei termini stranieri».
Il libro riporta i menu delle cene governative consultati alla Biblioteca Barilla, «prima del 1935 ricchi di portate ed esterofili, dopo il 35 più poveri con piatti italiani», e delle abitudini del Duce a tavola (sofferente di ulcera, considerava i pranzi ufficiali una perdita di tempo e mangiava e beveva in maniera contenuta: latte, pasta, riso, carne bianca, frutta e verdura).
Dopo le sanzioni allItalia della Società delle Nazioni conseguenti allinvasione dellEtiopia, gli italiani (e i piacentini) si sono dovuti arrangiare con quello che avevano: verdure, riso, minestre, carni povere. «Il monito - ha argomentato la prof. Bricchi - era non sprecare, tutto si ricicla: stracci, spaghi, carta, ossi, gusci duovo, bucce. Studiando queste cose, ho capito i comportamenti di mia nonna Dina. Si sentiva la mancanza di caffè, zucchero, carne, grassi da condimento e ci si ingegnava con i surrogati». In quegli anni nascono importanti industrie alimentari (Cirio, Buitoni, Barilla, Lazzaroni e tante altre) e si sviluppano tecniche di conservazione dei cibi: la pastorizzazione e la refrigerazione meccanica con i primi vagoni e le prime navi in grado di trasportare prodotti surgelati. Nascono così i mercati del pesce.
Il volume dedica un capitolo a osterie, trattorie e ristoranti. «Molto interessanti le liste vivande del 1918 depositate per calmierare i prezzi e consultate al locale Archivio di Stato. Ho scoperto lassenza di tipicità locali (bortellina, salumi, pisarei, tortelli) e piatti generici. Una cucina borghese, insomma, senza identità. Perché? Il motivo è semplice: al tempo non si andava al ristorante per svago e i clienti erano per la maggior parte commessi viaggiatori, comunque gente in giro per lavoro». Poi con il fascismo le produzioni tipiche hanno guadagnato spazio.
Nel libro troviamo anche testimonianze dirette raccolte dallautrice. Tra queste, anche quella di Giacomo Scaramuzza, decano dei giornalisti piacentini mancato di recente alletà di 102 anni: «È stata la parte più arricchente del lavoro di ricerca, con il racconto della cucina di tutti i giorni, dei piatti delle feste, che sono poi gli stessi di oggi; e poi della polenta come pasto principale».
Infine, un cenno ai differenti tipi di alimentazione rispetto al territorio nella cucina piacentina casalinga tra le due guerre. «In pianura - ha osservato la prof. Bricchi - si mangiava maiale, mais (polenta), latte, formaggi, pesce di fiume; in collina, dove si stava meglio in tempo di guerra, si potevano trovare alberi da frutto, ortaggi, erbe spontanee, lumache, animali da cortile; in montagna si utilizzavano molto le castagne (per fare la polenta), nocciole, patate, frutti di bosco».
Agli intervenuti, con precedenza ai primi soci prenotati e ai primi clienti prenotati, è stato riservato il volume fino ad esaurimento copie.
5.3.25
Giuseppe Romagnoli e Laura Bricchi
Tutto esaurito in Sala Panini per la presentazione del libro di Laura Bricchi
Un'altra veduta di Sala Panini del PalabancaEventi
Uno scorcio di Sala Panini