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Per noi, nati nel Ducato
di Parma e Piacenza, il fiume sacro è l'Ongina. E' un rigagnolo, un canale, nemmeno un
torrente che scorre nella Padania felix dalle parti di Busseto, e si getta nel Po proprio
dove cominciano i terreni legati a Sant'Agata, appartenuti al cavalier Verdi Giuseppe, di
professione agricoltore e musicista, come il cavaliere si definiva. L'Ongina è solo una
pisciatina d'acqua tra i pioppi, cascine, nebbie, zanzare, argini, rane, anguille, stoppie
d'estate, pantani d'inverno, brine, papaveri, pianura con battelline sul fiume
all'orizzonte. Ma per noi è un Nilo, un Tevere, un Piave, una Senna, un Reno, un
Mississippi, una Moscova, un Tamigi, un Tigri, un Eufrate. |
Sull'Ongina s'appoggia il
triangolo Roncole-Sant'Agata-Busseto che contiene il mondo di Verdi, c'è il confine con
il resto del mondo. E' qui che comincia la landa che chiamiamo "Siberia" tanto
è fredda l'inverno, sepolta nella nebbia sei mesi l'anno; e che diventa rovente d'estate,
afosa umida come la Cocincina, ancora avvolta di vapori e fumi.
E' qui che si spalanca il
regno dei contrasti drammatici, dove a novembre tutto si cancella e diventa bianco, un
muoversi di tabarri, d'ombre shaekesperiane, un paesaggio giunto al grado zero, e dove a
giugno stride la vampa che assecca il pantano, fulmina le vipere sui greti, spacca
l'anguria rossa in mezzo ai prati, incendia le pannocchie alla Faulkner nella "nebbia
da caldo". Capisci Verdi, che insegue la gloria ma poi sempre cerca una vita
nascosta, misteriosa, avvolta di nebbie; che chiama Shaekespeare "Signor
Guglielmo" e "Papà"; tutto buio, tutto Trovatore, tutto pianto, tutto
Rigoletto; oppure tutto luce, tutto Aida, tutto Flastaff. Tant'è vero che non si muove
mai di qui. |

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Facendo bene i conti Verdi
passa lungo l'Ongina 80 anni della sua vita durata 88. Si stacca solo 8 anni, dal '39 al
'46, per farsi milanese. Ma per il resto è sempre pendolare che viaggia continuamente tra
l'Ongina e gli altri luoghi che ama, Parigi, Genova, Milano e le città delle sue grandi
prime, Venezia, Firenze, Roma, Pietroburgo, Londra, facendo puntualmente ritorno in questa
nebbia, tra gli argini, i pioppi, le cascine. Il luogo dei luoghi è soltanto qui, anche
se le fotografie più celebri lo mostrano in cilindro a piazza Scala, anche se muore a
Milano e verrà sepolto a Milano.
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Dal 1813 al 1838 il suo
mondo è Le Roncole: la casa di mattoni rossi, povera, dove nasce battezzato Joseph
Fortuninus Franciscus, mezzo in francese e mezzo in latino; dove suo padre fa l'oste, dove
suona per la prima volta l'organo in chiesa, e la spinetta che l'organista Baistrocchi gli
regala. E' tra Busseto e Le Roncole che pendola tra il '25 e il '26 quando Baistrocchi
muore, e Verdi prende il suo posto d'organista andando avanti e indietro. |
Poi quando
nell'estate del '39 comincia a pendolare su Milano sogna di tornare a Busseto, lotta per
avere un posto di maestro di cappella; e a Busseto ritorna nel '35, ottiene il posto con
nomina ducale nel '36, sposa in maggio Margherita Barezzi, s'installa con lei a Palazzo
Tedaldi-Rusca, dove nel trentasette nasce sua figlia Virginia; dove nasce nell'ottobre '38
suo figlio Icilio Romano. Cominciano insomma qui la vocazione, i primi progetti musicali.
Qui mette radici anche la vita adulta. Musica e vita s'impastano di nebbie, di calure, di
organi da paese, osterie, di solitudine tra gli argini, di shaekesperiana voglia
"d'inventare il vero". Nel '39 avviene certo lo strappo. L'ambizione. Le confuse
promesse per l'Oberto alla Scala, lo portano a decidere di lasciare il suo mondo. Passa
col passaporto ducale al confine dell'Ongina. Trasloca a Milano Margherita, Icilio Romano,
i mobili e col prestito del suocero di due napoleoni d'oro mette casa in via San Simone
numero 3072, oggi Cesare Correnti, in parrocchia Sant'Ambrogio, verso Porta Ticinese. Ma
la vita milanese mescola strazio e trionfo. In ottobre muore Romano, il bambino di un anno
e quattro mesi. In novembre va in scena con molto successo l'Oberto, il 18 giugno 1840
muore la moglie Margherita Barezzi. Milano gli pare orrenda, un luogo da lasciare ma poi
giunge nel '42 il trionfo del Nabucco. Verdi si installa in via Andegari, seconda casa
milanese, si gode la città che lo applaude, lo corteggia, che ne fa un mito politico
risorgimentale. |
Per sei anni Verdi sembra un
perfetto milanese: sceglie il mondo dei salotti, piace alle donne, ai patrioti, ai
letterati, trionfa. Inizia la famosa "galera" di musicista di successo, sforna
un'opera dopo l'altra. Dopo il Nabucco, i Lombardi nel '43, l'Ernani nel '44, I due
Foscari sempre nel '44, Giovanna 'd'Arco e l'Azira nel '45, l'Attila nel '46, il Macbeth
nel '47. Non è più l'Orso di Busseto come lo chiamano le sue donne nei momenti di
tenerezza. Ma basta guardare meglio per capire che questo Verdi è un'illusione ottica.
Già nel '44, con la prima ricchezza, ha cominciato a comprare certi campi intorno alle
Roncole. Nel '45 ha comprato a Busseto palazzo Dordoni. Dietro alla facciata milanese c'è
il figlio dell'oste che sogna la proprietà, la terra, la solitudine tra boschi e cascine.
Nel '47, infatti,
ricomincia a pendolare tra Milano e Busseto per questi suoi affari. Poi pendola giù al
largo tra Milano, Parigi, Londra. Agli amici dice che viaggia per i Masnadieri e per i
contatti con l'Opéra. Ma poi si viene a sapere che è per via della Strepponi che
pendola. Lei, dopo l'amicizia verdiana del Nabucco, è rimasta senza voce, dà lezioni a
Parigi. Verdi vedovo la rivede, i ritorni a Milano si fanno sempre più rari. Nel '48
Verdi e la Strepponi mettono casa insieme, a Passy, lui scrive Jerusalem e il Corsaro. |

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Nemmeno il
'48 lo sconvolge più di tanto, ora che ha ritrovato il suo "privato". Certo,
quando sente dei moti delle Cinque giornate fa una puntata a Milano. Sostiene i
rivoluzionari, pare che incontri Mazzini. Ma la sua testa è altrove. Proprio mentre
rivoluzione e restaurazione si scontrano, lascia Milano per Busseto. Compra a Sant'Agata
in aprile e a maggio è a Parigi. Per un anno ancora si gode Passy. Nel settembre '49,
senza nemmeno sostare a Milano, una carrozza partita da Parigi arriva a Busseto davanti a
Palazzo Dordoni. Scendono Verdi e la Strepponi, s'installano qui, cominciano a vivere il
loro segreto, la vita ritirata tra le nebbie, la difesa della vita introversa, riservata,
timida dell'Orso tornato nella sua terra. |
Dalla fine del 1849 al 1901,
anno della morte di Verdi, l'Ongina diventa l'epicentro della sua terra. Lui è diviso tra
i campi e la musica, sbanca terreni, scava pozzi artesiani, risana la terra sotto gli
argini, segue la produttività dei contadini, compra poderi. Intanto scrive, nel chiuso
del suo laboratorio musicale di campagna, e nascono Rigoletto e Trovatore, Traviata e
Ballo in maschera, Forza del Destino e Don Carlos, Aida e Falstaff.
Nel '66 affittano a Genova
una seconda casa, a Palazzo Doria, per svernare al tiepido. Ma il punto fermo di Verdi
resta l'Ongina. Per cinquantadue anni Sant'Agata, Le Roncole, Busseto, tornano ad essere
il triangolo sull'Ongina che forma la costellazione Verdi. Anche se è un Verdi più
genovese, durante l'inverno, quando arriva la vecchiaia, e si fa più intensa la ricerca
di sole. Ciò che conta è che la casa vera resta a Sant'Agata. Ciò che conta è il
ducato verdiano, costruito nel ducato da cui sgorgano musica e nebbia, e dove si dipana
una vita che Verdi vuole nascosta e riservata. Gran padano lunatico, cerca la gloria e la
fugge. Insegue la fama, ma si nasconde. Infatti dopo avere scatenato il "va"
pensiero quarantottesco, frequentato Mazzini, sfiorato Manzoni, ha scelto la via
dell'agrario ricco che vota per Cavour, si spaventa per i moti di Milano, sta chiuso nel
suo ducato, sperando che la nebbia lunare lo separi ancor più dal mondo che comincia dopo
l'Ongina. Nel 1897, quando muore la Peppina, la solitudine a Sant'Agata si fa spaventosa.
Gli amici gli consigliano di trasferirsi a Milano, ma lui accetta al massimo di pendolare
po tra Sant'Agata e la Milano dell'Hotel Milan. Ma resta il più possibile tra gli
argini, la nebbia, i vapori della calura, percorrendo le terre del latifondo, certi giorni
raggiungendo con le ultime passeggiate l'Ongina dove da ragazzo pescava con le mani
nell'odore forte del fango e del sambuco. Si spegne all'Hotel Milan il 27 gennaio 1901. La
paura di tornare nella grande città era forse un presentimento. Legato comunque alla
certezza che Verdi era Verdi in un posto solo. |