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LA' DOVE SCORRE L'ONGINA di Alberto Cavallari

 

Alberto Cavallari (1928-98) é stato uno dei più noti giornalisti italiani. Nato a Piacenza dove ha vissuto fino al 1945, si é trasferito a Milano ed è entrato a far parte della redazione del "Corriere della Sera".
Celebri i suoi reportages sulla drammatica rivolta in Ungheria del 1956. Nel 1965, un avvenimento storico: Cavallari fu il primo giornalista a intervistare il Papa. Il "Corriere" dedicò all'evento tutta la prima pagina. Dopo varie esperienze giornalistiche, Alberto Cavallari fu nominato direttore del "Corriere" nel 1981. Rimase alla guida della storica testata di via Solferino per tre anni.

Collaborò poi con il quotidiano "La Repubblica" e si trasferì a Parigi. Nella capitale francese svolse con successo l'attività di saggista, di inviato e di docente universitario.
L'articolo che segue, dedicato a Verdi, fu pubblicato su "La Repubblica" il 6 giugno 1987.

  
Ongina

Per noi, nati nel Ducato di Parma e Piacenza, il fiume sacro è l'Ongina. E' un rigagnolo, un canale, nemmeno un torrente che scorre nella Padania felix dalle parti di Busseto, e si getta nel Po proprio dove cominciano i terreni legati a Sant'Agata, appartenuti al cavalier Verdi Giuseppe, di professione agricoltore e musicista, come il cavaliere si definiva. L'Ongina è solo una pisciatina d'acqua tra i pioppi, cascine, nebbie, zanzare, argini, rane, anguille, stoppie d'estate, pantani d'inverno, brine, papaveri, pianura con battelline sul fiume all'orizzonte. Ma per noi è un Nilo, un Tevere, un Piave, una Senna, un Reno, un Mississippi, una Moscova, un Tamigi, un Tigri, un Eufrate.

Sull'Ongina s'appoggia il triangolo Roncole-Sant'Agata-Busseto che contiene il mondo di Verdi, c'è il confine con il resto del mondo. E' qui che comincia la landa che chiamiamo "Siberia" tanto è fredda l'inverno, sepolta nella nebbia sei mesi l'anno; e che diventa rovente d'estate, afosa umida come la Cocincina, ancora avvolta di vapori e fumi.

E' qui che si spalanca il regno dei contrasti drammatici, dove a novembre tutto si cancella e diventa bianco, un muoversi di tabarri, d'ombre shaekesperiane, un paesaggio giunto al grado zero, e dove a giugno stride la vampa che assecca il pantano, fulmina le vipere sui greti, spacca l'anguria rossa in mezzo ai prati, incendia le pannocchie alla Faulkner nella "nebbia da caldo". Capisci Verdi, che insegue la gloria ma poi sempre cerca una vita nascosta, misteriosa, avvolta di nebbie; che chiama Shaekespeare "Signor Guglielmo" e "Papà"; tutto buio, tutto Trovatore, tutto pianto, tutto Rigoletto; oppure tutto luce, tutto Aida, tutto Flastaff. Tant'è vero che non si muove mai di qui.

Facendo bene i conti Verdi passa lungo l'Ongina 80 anni della sua vita durata 88. Si stacca solo 8 anni, dal '39 al '46, per farsi milanese. Ma per il resto è sempre pendolare che viaggia continuamente tra l'Ongina e gli altri luoghi che ama, Parigi, Genova, Milano e le città delle sue grandi prime, Venezia, Firenze, Roma, Pietroburgo, Londra, facendo puntualmente ritorno in questa nebbia, tra gli argini, i pioppi, le cascine. Il luogo dei luoghi è soltanto qui, anche se le fotografie più celebri lo mostrano in cilindro a piazza Scala, anche se muore a Milano e verrà sepolto a Milano.

Dal 1813 al 1838 il suo mondo è Le Roncole: la casa di mattoni rossi, povera, dove nasce battezzato Joseph Fortuninus Franciscus, mezzo in francese e mezzo in latino; dove suo padre fa l'oste, dove suona per la prima volta l'organo in chiesa, e la spinetta che l'organista Baistrocchi gli regala. E' tra Busseto e Le Roncole che pendola tra il '25 e il '26 quando Baistrocchi muore, e Verdi prende il suo posto d'organista andando avanti e indietro.

Poi quando nell'estate del '39 comincia a pendolare su Milano sogna di tornare a Busseto, lotta per avere un posto di maestro di cappella; e a Busseto ritorna nel '35, ottiene il posto con nomina ducale nel '36, sposa in maggio Margherita Barezzi, s'installa con lei a Palazzo Tedaldi-Rusca, dove nel trentasette nasce sua figlia Virginia; dove nasce nell'ottobre '38 suo figlio Icilio Romano. Cominciano insomma qui la vocazione, i primi progetti musicali. Qui mette radici anche la vita adulta. Musica e vita s'impastano di nebbie, di calure, di organi da paese, osterie, di solitudine tra gli argini, di shaekesperiana voglia "d'inventare il vero". Nel '39 avviene certo lo strappo. L'ambizione. Le confuse promesse per l'Oberto alla Scala, lo portano a decidere di lasciare il suo mondo. Passa col passaporto ducale al confine dell'Ongina. Trasloca a Milano Margherita, Icilio Romano, i mobili e col prestito del suocero di due napoleoni d'oro mette casa in via San Simone numero 3072, oggi Cesare Correnti, in parrocchia Sant'Ambrogio, verso Porta Ticinese. Ma la vita milanese mescola strazio e trionfo. In ottobre muore Romano, il bambino di un anno e quattro mesi. In novembre va in scena con molto successo l'Oberto, il 18 giugno 1840 muore la moglie Margherita Barezzi. Milano gli pare orrenda, un luogo da lasciare ma poi giunge nel '42 il trionfo del Nabucco. Verdi si installa in via Andegari, seconda casa milanese, si gode la città che lo applaude, lo corteggia, che ne fa un mito politico risorgimentale.

Per sei anni Verdi sembra un perfetto milanese: sceglie il mondo dei salotti, piace alle donne, ai patrioti, ai letterati, trionfa. Inizia la famosa "galera" di musicista di successo, sforna un'opera dopo l'altra. Dopo il Nabucco, i Lombardi nel '43, l'Ernani nel '44, I due Foscari sempre nel '44, Giovanna 'd'Arco e l'Azira nel '45, l'Attila nel '46, il Macbeth nel '47. Non è più l'Orso di Busseto come lo chiamano le sue donne nei momenti di tenerezza. Ma basta guardare meglio per capire che questo Verdi è un'illusione ottica. Già nel '44, con la prima ricchezza, ha cominciato a comprare certi campi intorno alle Roncole. Nel '45 ha comprato a Busseto palazzo Dordoni. Dietro alla facciata milanese c'è il figlio dell'oste che sogna la proprietà, la terra, la solitudine tra boschi e cascine.

Nel '47, infatti, ricomincia a pendolare tra Milano e Busseto per questi suoi affari. Poi pendola giù al largo tra Milano, Parigi, Londra. Agli amici dice che viaggia per i Masnadieri e per i contatti con l'Opéra. Ma poi si viene a sapere che è per via della Strepponi che pendola. Lei, dopo l'amicizia verdiana del Nabucco, è rimasta senza voce, dà lezioni a Parigi. Verdi vedovo la rivede, i ritorni a Milano si fanno sempre più rari. Nel '48 Verdi e la Strepponi mettono casa insieme, a Passy, lui scrive Jerusalem e il Corsaro.

Sant'Agata

Nemmeno il '48 lo sconvolge più di tanto, ora che ha ritrovato il suo "privato". Certo, quando sente dei moti delle Cinque giornate fa una puntata a Milano. Sostiene i rivoluzionari, pare che incontri Mazzini. Ma la sua testa è altrove. Proprio mentre rivoluzione e restaurazione si scontrano, lascia Milano per Busseto. Compra a Sant'Agata in aprile e a maggio è a Parigi. Per un anno ancora si gode Passy. Nel settembre '49, senza nemmeno sostare a Milano, una carrozza partita da Parigi arriva a Busseto davanti a Palazzo Dordoni. Scendono Verdi e la Strepponi, s'installano qui, cominciano a vivere il loro segreto, la vita ritirata tra le nebbie, la difesa della vita introversa, riservata, timida dell'Orso tornato nella sua terra.

Dalla fine del 1849 al 1901, anno della morte di Verdi, l'Ongina diventa l'epicentro della sua terra. Lui è diviso tra i campi e la musica, sbanca terreni, scava pozzi artesiani, risana la terra sotto gli argini, segue la produttività dei contadini, compra poderi. Intanto scrive, nel chiuso del suo laboratorio musicale di campagna, e nascono Rigoletto e Trovatore, Traviata e Ballo in maschera, Forza del Destino e Don Carlos, Aida e Falstaff.

Nel '66 affittano a Genova una seconda casa, a Palazzo Doria, per svernare al tiepido. Ma il punto fermo di Verdi resta l'Ongina. Per cinquantadue anni Sant'Agata, Le Roncole, Busseto, tornano ad essere il triangolo sull'Ongina che forma la costellazione Verdi. Anche se è un Verdi più genovese, durante l'inverno, quando arriva la vecchiaia, e si fa più intensa la ricerca di sole. Ciò che conta è che la casa vera resta a Sant'Agata. Ciò che conta è il ducato verdiano, costruito nel ducato da cui sgorgano musica e nebbia, e dove si dipana una vita che Verdi vuole nascosta e riservata. Gran padano lunatico, cerca la gloria e la fugge. Insegue la fama, ma si nasconde. Infatti dopo avere scatenato il "va" pensiero quarantottesco, frequentato Mazzini, sfiorato Manzoni, ha scelto la via dell'agrario ricco che vota per Cavour, si spaventa per i moti di Milano, sta chiuso nel suo ducato, sperando che la nebbia lunare lo separi ancor più dal mondo che comincia dopo l'Ongina. Nel 1897, quando muore la Peppina, la solitudine a Sant'Agata si fa spaventosa. Gli amici gli consigliano di trasferirsi a Milano, ma lui accetta al massimo di pendolare po’ tra Sant'Agata e la Milano dell'Hotel Milan. Ma resta il più possibile tra gli argini, la nebbia, i vapori della calura, percorrendo le terre del latifondo, certi giorni raggiungendo con le ultime passeggiate l'Ongina dove da ragazzo pescava con le mani nell'odore forte del fango e del sambuco. Si spegne all'Hotel Milan il 27 gennaio 1901. La paura di tornare nella grande città era forse un presentimento. Legato comunque alla certezza che Verdi era Verdi in un posto solo.

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